Credo che la separazione delle carriere sia un tema da affrontare quanto più laicamente possibile, senza farsi condizionare da difese corporative. Cercherò sul punto di esporre la mia personale valutazione del problema, che in parte coincide con un generale sentire della classe forense. L′assetto costituzionale secondo il quale i magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni non è incompatibile con la possibilità che la magistratura giudicante ed inquirente abbiano carriere diverse. Del resto è la stessa Carta costituzionale che all′art. 111 sancisce che il giudice deve essere non soltanto imparziale ma anche terzo. Ed aggiungo, il magistrato giudicante non solo deve essere imparziale ma deve anche apparire tale. Nel 1988, con l′adozione del nuovo codice di rito, l′Italia ha scelto di abbandonare il modello inquisitorio ad appannaggio di quello accusatorio, il quale si basa sul principio dell′oralità della prova che si forma nel contraddittorio delle parti. Il giudice, pertanto, deve avere un ruolo terzo rispetto alle parti processuali, alle quali deve essere riconosociuta pari dignità e pari diritti nella dialettica processuale. Oggi sappiamo tutti che non è così. Separare le carriere dovrebbe far si che i percorsi di studio, di formazione e di lavoro tra magistrati non siano promiscui, non diano cioè vita a rapporti di solidarietà, amicizia e frequentazione capaci di alterare l′equilibrio che la costituzione vuole esista tra le parti del processo penale. Per quanto si voglia sostenere che l′imparzialità del magistrato sia un principio fondante e che ispira tutti i magistrati, non possiamo fare a meno di ricordare che sotto le toghe ci sono donne e uomini. Pertanto maggiore è la contiguità tra i percorsi di studio, di formazione e di carriera, maggiore è il rischio che l′imparzialità venga condizionata dai rapporti umani e di colleganza. Come dicevo non è solo la politica che invoca la separazione delle carriere, o quantomeno non è principalmente la politica, quanto l′avvocatura che quotidianamente, nel suo operare, percepisce di essere una parte minusvalente nel processo penale rispetto ad una posizione soverchiante dei Pubblici Ministeri. Sin dalle indagini preliminari il pubblico ministero esercita un potere di direzione delle stesse, ed in quanto tale ha un rapporto con il GIP non solo di stretta colleganza e di quotidiana frequentazione, ma molto spesso anche di amicizia di lunga data. All′organo inquirente viene ascritto dal giudice un ruolo che al difensore non verrà mai riconsociuto, ed il suo lavoro sarà tenuto sempre in maggior considerazione in quanto promanante da altro magistrato, ritenuto dunque più affidabile di un libero professionista che assiste una parte privata. Pensate per esempio all′attività di indagine svolta dal PM e quella svolta ai sensi degli artt. 391 bis e ss cpp dal difensore. La seconda sovente non viene neanche presa in considerazione dal magistrato giudicante, a meno che non sia ratificata da una successiva verifica del pubblico ministero. Le motivazioni a sostegno della separazione delle carriere, pertanto, soprattutto dalla visuale dell′avvocatura, sono molto più pratiche di quel che si può pensare, senza andare a scomodare principi costituzonali. Il problema, va detto, riguarda maggiormente, e direi prevalentemente, il rapporto tra i pubblici ministeri e i giudici per le indagini preliminari, ovvero quella componente della magistratura giudicante che ha maggiore contiguità con gli organi inquirenti per ovvie ragioni. Non si vuol banalizzare un tema importante, ma semplicemente far rilevare che al netto di discorsi dotti esistono dinamiche concrete capaci di alterare la genuinità di un magistrato, frustare la parità delle parti processuali, che invece una separazione delle carriere, partendo da concorsi separati, da diversi organi di rappresentanza, ed anche da uffici fisici diversi, farebbe venire meno, o quanto meno limiterebbe in maniera decisiva. Dunque, ribadisco quali sono le motivaioni per le quali questo tema è tanto avversato dalla magistratura? Il tema dei trasferimenti dei magistrati dalla posizione giudicante a quella inquirente e viceversa, ad avviso di chi scrive, non ha una ricaduta pratica rispetto ai motivi per i quali si ritiene necessario operare una separazione delle carriere. In buona sostanza, limitare l′intercambiabilità giudice/pm non soddisfa l′esigenza avvertita da parte del mondo politico e di quello forense di eliminare la contiguità tra magistratura giudicante e requirente, e quindi il rischio di frustrare l′assetto attuale del rito accusatorio che si fonda sulla parità delle parti e del giudice terzo. C′è da domandarsi, del resto, ma ad un magistrato giudicante cosa cambia se le funzioni della pubblica accusa sono svolte da magistrati che hanno svolto una carriera diversa e quindi appartengono ad un corpo diverso e viceversa? Se il modello accusatorio del nostro processo penale deve fondarsi sulla parità delle parti, non deve residuare alcun dubbio che il magistrato giudicante sia terzo rispetto ad entrambe, e non deve esservi più alcun tipo di vicinanza e promiscuità con una delle due parti. Ciò anche ad appannaggio dei stessi magistrati. Il timore espresso dalla magistratura che la separazione delle carriere possa trasformare pubblici ministeri in un organo dell′esecutivo è un tema pretestuoso che non è suffragato da alcun elemento concreto. Ugualmente non condivisibile è il tema secondo il quale l′imputato non sia l′unica parte del processo, in quanto è noto come la parte civile sia una parte solo eventuale e non necessaria del processo penale, che invece ruota intorno all′imputato e alle sue sorti. Ma ad ogni buon conto in che modo la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante potrebbe influire sulle ragioni della persona offesa?